Questo articolo rappresenta la prima parte di un doppio articolo sulla Battaglia di Agincourt del 1415, di cui quest'anno ricorre il 600° anniversario.
Questa prima parte, scritta da Ezio Melega, presenta un quadro storico sulla battaglia e sul contesto all'intorno.
La seconda parte, ovvero l'After-Action-Report di una partita a Men of Iron: Agincourt, verrà pubblicato a febbraio.
Introduzione
La mattina del 25 Ottobre 1415 il sole sorse pallido, tra la
nebbia e la pioggia, nelle campagne boscose tra l’Alta Normandia e le Fiandre.
Secondo William Shakespeare, in questo scenario deprimente, il re inglese
Enrico V si aggirava tra le sue truppe, stanche e debilitate dalla dissenteria,
rinfrancando i loro spiriti chiamandoli fratelli e “fortunati pochi”.
Da lì a poche ore tra le campagne strette da boschi tra i
villaggi di Agincourt e Tramencourt la “banda di fratelli” avrebbe affrontato e
sbaragliato le molto più numerose truppe francesi guidate dall’elite della
nobiltà francese, segnando una delle più grandi vittorie inglesi della Guerra
dei Cent’Anni e una svolta epocale nella Storia dei due Paesi.
Re Enrico V alla Battaglia di Agincourt |
Una vittoria non sperata, neppure immaginata, in una battaglia
che Re Enrico non avrebbe voluto, che secondo tutte le logiche avrebbe dovuto
perdere, ma che trasformò una fuga disperata in una tale rivincita per la
corona inglese da distruggere lo spirito francese per i successivi vent’anni,
fino a quando Giovanna d’Arco non avesse innalzato il suo stendardo sotto le
mura di Orleans.
La Guerra dei Cent'Anni
La Guerra dei Cent’Anni, di cui Agincourt fu un episodio tardo,
non fu una sola, lunga guerra quanto piuttosto uno stato di belligeranza
perenne durato formalmente dal 1337 al 1453 e che coinvolse diverse guerre satelliti, in Spagna, in Portogallo, in
Bretagna e nelle Fiandre, nonché la proclamazione di almeno un antipapa.
Tutto iniziò con una crisi di successione della corona francese
quando, nel 1316, Luigi X morì senza figli maschi e la corona passò al fratello
Filippo V, sancendo il principio secondo cui nessuna donna avrebbe potuto
succedere al trono di Francia. Anche Filippo V morì senza eredi maschi, così
come il successivo fratello, Carlo IV.
A questo punto il parente maschio più prossimo era il figlio della sorella di Carlo IV, Isabella, ovvero il giovane Re Edoardo III di Inghilterra, che prontamente reclamò il trono di Francia. La nobiltà francese, inorridita dal pensiero di riconoscere un re inglese, dichiarò che Isabella non poteva trasmettere al figlio un diritto di successione che lei stessa non possedeva, e proclamò un cugino di Carlo IV re di Francia: il Duca di Valois divenne Re Filippo VI.
A questo punto il parente maschio più prossimo era il figlio della sorella di Carlo IV, Isabella, ovvero il giovane Re Edoardo III di Inghilterra, che prontamente reclamò il trono di Francia. La nobiltà francese, inorridita dal pensiero di riconoscere un re inglese, dichiarò che Isabella non poteva trasmettere al figlio un diritto di successione che lei stessa non possedeva, e proclamò un cugino di Carlo IV re di Francia: il Duca di Valois divenne Re Filippo VI.
Genealogia dei Re di Francia |
Gli interessi della corona inglese in Francia erano molteplici.
Al di là delle ancestrali origini normanne della casa regnante, l’intero
sud-ovest della Francia, l’Aquitania-Guascogna, era un feudo della corona
inglese sin dai tempi in cui Enrico II sposò Eleonora d’Aquitania nel 1152,
mentre i potentissimi Duchi di Borgogna erano solidi alleati commerciali
dell’Inghilterra, dato che all’epoca governavano anche le Fiandre e le Fiandre
erano la porta attraverso cui il ricchissimo commercio della lana inglese
sbarcava sul continente.
Possedimenti inglesi in Francia |
Quando poi la Casa di Borgogna si schierò a fianco
dell’Inghilterra contro il partito degli armagnacci (fedeli alla dinastia di
Valois) la guerra si trasformò in un vero e proprio conflitto tra modelli
sociali: da un lato la monarchia francese che rappresentava il più alto modello
feudale, conservativo e legato ai privilegi dati dai possedimenti terrieri,
dall’altro gli inglesi e i loro alleati borgognoni che rappresentavano il
modello commerciale, legato alle città e più disposto all’innovazione.
Alla fine della guerra la Francia risultò vittoriosa, avendo
riconquistato tutti i territori inglesi sul continente con l’esclusione di
Calais, ma la guerra aveva indotto tali e tante trasformazioni nella tattica,
nella strategia e nella composizione degli eserciti che la società non poteva
non esserne influenzata. La Guerra dei Cent’Anni vide il definitivo tramonto
della cavalleria pesante feudale (iniziato nel 1302 a Courtrai) e il sorgere
degli eserciti professionali, e la Francia, al suo termine, si era dotata del
primo esercito permanente della Storia europea dopo l’impero romano.
I Preludi alla battaglia
Enrico V, salito al trono nel 1413, era il bisnipote di
quell’Enrico III che per primo aveva dichiarato le pretese inglesi sulla corona
di Francia. Era un abile stratega e guerriero, abituato a guidare le truppe in
prima persona e, secondo molte testimonianze coeve, amato dai suoi soldati per
le sue attitudini cameratesche nei confronti delle truppe.
Enrico V |
Enrico V si mostrò fin da subito come un regnante di grande
polso, soffocando con una certa crudeltà le rivolte gallesi che segnarono
l’inizio del suo regno e mostrò fin da subito una notevole propensione ad una
politica estera estremamente aggressiva, a differenza del padre il cui regno
aveva segnato una tregua delle ostilità con la Francia.
Al contrario, il suo omologo francese Carlo VI si stava ormai
avviando verso il declino fisico, era prono ad episodi di follia in cui
arrivava a credere di essere fatto di vetro e politicamente si trovava a non poter realmente gestire la violenta
contesa tra i sostenitori della casa di Armagnac e quella di Borgogna, in una
nascente guerra civile.
Carlo VI di Francia |
Dopo due anni di provocazioni diplomatiche, il consueto valzer
di ambasciatori, richieste di vecchi riscatti e tutti quei preludi necessari a
dare un senso di legittimità e diritto divino alla guerra medievale,
nell’estate 1415 Enrico V sbarcò in Normandia, e il 13 Agosto prese d’assedio
il porto di Harfleur, sulla Manica, probabilmente intendendo porre fine agli
episodi di pirateria che avevano marcato la fase di pace armata che l’aveva
preceduto e come preludio all’occupazione della Normandia.
Sfortunatamente per Enrico l’assedio del porto durò molto più
del previsto e la città cadde solo a Settembre, sprecando quasi totalmente la
stagione bellica, e causando notevoli perdite tra gli inglesi.
Nonostante la situazione sfavorevole, accontentarsi di Harfleur
era però impossibile per Enrico. Le ingenti risorse investite nella campagna
non potevano essere sprecate per una vittoria così modesta. Il giovane re
decise quindi per una chevauchée: iniziò
l’attraversamento della regione con il suo esercito, requisendo tributi,
saccheggiando, facendo terra bruciata e in generale imponendo la propria
presenza sul territorio, senza cercare battaglia ma, anzi, sfidando i francesi
a raccogliere un esercito e fermarlo.
Il suo obiettivo finale era comunque Calais, la roccaforte inglese a circa 250 km da Harfleur, da cui imbarcarsi e tornare in Inghilterra per l’inverno.
Il suo obiettivo finale era comunque Calais, la roccaforte inglese a circa 250 km da Harfleur, da cui imbarcarsi e tornare in Inghilterra per l’inverno.
La
campagna di Enrico era così costosa perché si appoggiava su un nuovo tipo di
esercito. Enrico non era ricorso ad una leva feudale, poiché il modello dell’esercito
inglese aveva ormai sorpassato quello della classica armata feudale in cui
l’unico corpo di specialisti era la nobile cavalleria pesante. Nell’esercito di
Enrico convivevano e combattevano fianco a fianco i nobili cavalieri e fitti
corpi di arcieri, di estrazione popolare ma estremamente addestrati e
disciplinati. Questi semi-professionisti erano slegati dal sistema di benefici
che compensava la cavalleria nobile, ed andavano pagati ed equipaggiati. Tali
risorse andavano poi concordate col Parlamento che, sin dal regno di Enrico
III, aveva potere di veto sull’imposizione di nuove tasse. È quindi
comprensibile come Enrico V fosse costretto a ottenere ben più successi che un
semplice assedio vittorioso da una campagna le cui fasi preparatorie erano state
così complesse.
Raffigurazione della battaglia di Agincourt |
Nel
frattempo Carlo VI di Francia aveva iniziato a sua volta a raccogliere un
esercito, e anche in questo caso si trattava di un esercito proto-moderno, in
cui alla cavalleria feudale si affiancavano corpi di specialisti spesso
mercenari (balestrieri, le prime forme di artiglieri, arcieri) pagati coi soldi
statali, in un enorme sconvolgimento del rigido sistema feudale francese, in
cui ciascun nobile era responsabile dell’equipaggiamento proprio e dei propri
soldati, e veniva ripagato dal suo signore feudale attraverso regalie e
privilegi.
Tale
pratica ci mostra come la Guerra dei Cent’Anni sia stato il vero passaggio tra
la guerra medievale e la guerra moderna, e di come gli enormi sconvolgimenti
sociali portati dal XIV secolo (le rivoluzioni tecnologiche, la rinascita delle
città e della borghesia, la peste) influissero enormemente sul modo in cui le
guerre venivano condotte.
Questo
nuovo esercito non aveva fatto in tempo ad intervenire ad Harfleur, ma i
generali di Carlo VI intendevano raccogliere la sfida di Enrico V e
intercettarlo confidando nel notevole vantaggio numerico garantito dal
costante afflusso di truppe fresche e nella debolezza delle truppe inglesi:
ferite da Harfleur, vittime della dissenteria e ormai prossime al collasso per
le estenuanti marce nella piovosa campagna francese.
Da
parte sua Enrico era ben conscio del pericolo, e trasformò la sua chevauchée in una precipitosa fuga verso
Calais.
Il
24 Ottobre le truppe francesi, guidate dai generali di Carlo VI (che non
partecipò di persona alla campagna) e consigliate dai nobili locali che erano
stati chiamati ad unirsi all’esercito, riuscirono a portarsi in posizione di
vantaggio, tagliando la strada agli inglesi e costringendo Enrico V ad una
battaglia asimmetrica (alcune fonti parlano di un vantaggio 4-1 per i francesi)
in cui aveva davvero poche speranze.
La battaglia
Il campo di
Agincourt era uno stretto lembo di terreni arati, chiusi ai due lati da fitti
boschi e dai due villaggi di Agincourt e Tramecourt.
L’esercito
inglese occupava il lato sud del campo, mentre quello francese prese posizione
a nord, impedendo una facile fuga inglese verso Calais, distante solo una
cinquantina di chilometri.
Non sappiamo
bene quanti uomini combatterono ad Agincourt in quanto le fonti antiche sono
piuttosto imprecise, e gli storici moderni non sono concordi sul come
interpretarli. Di sicuro gli inglesi erano seriamente superati in numero, ma le
proporzioni di tale disparità sono incerte. Una stima prudente parla di quattro
francesi per ogni tre inglesi, ma è possibile che si arrivasse addirittura ad
una disparità di quattro a uno.
L’esercito
inglese era composto prevalentemente da arcieri. Di estrazione inglese e
gallese, la loro arma era il famoso longbow,
l’arco lungo. Costruito in legno di tasso e alto fino a un metro e ottanta, il longbow poteva lanciare frecce lunghe
fino a 90 cm ad una distanza di 300 metri, con un ritmo costante di 6 al
minuto, ma che poteva essere notevolmente aumentato a patto di essere disposti
a rovinare l’arma e stancare l’arciere.
Addestrati
fin da ragazzi alla particolare tecnica di tensione che consentiva di sfruttare
appieno le caratteristiche di queste mostruosità (un arciere dell’epoca parla
di come il padre gli insegnò a tendere “mettendo il proprio corpo nell’arco”, e
non ad usare solo la forza delle braccia, come in altri Paesi), gli arcieri
inglesi e gallesi presentavano vere e proprie deformazioni muscolo-scheletriche
ed erano considerati preziosi professionisti, addestrati e disciplinati.
A fronte di
6.000-7.000 arcieri le forze inglesi potevano contare su un migliaio di uomini
d'arme: nobili in armatura pesante, ma addestrati al combattimento appiedato
oltre che alla tradizionale carica di cavalleria, in una tattica che aveva
iniziato a prendere piede con le rivolte delle Fiandre del secolo precedente e
che già Enrico III aveva perfezionato, ma che i nobili francesi stentavano a
fare propria.
L’esercito
francese, guidato da un gruppo di alti nobili tra cui il Conestabile di Francia
Carlo d’Albret, il famoso cavaliere Jean II Le
Meingre detto Boucicaut e il Duca Carlo di Orleans, leader del partito degli
armagnacchi, poteva contare su circa 10.000 cavalieri, sia montati che
appiedati, e su diverse migliaia di arcieri, lancieri, balestrieri e persino un
paio di rudimentali cannoni.
Forte di
questo vantaggio, e attendendo ancora maggiori rinforzi dalla Bretagna e
dall’Anjou, i Francesi non avevano fretta di ingaggiare battaglia, preferendo
arroccarsi in posizione d’attesa, dove i nobili iniziarono a distrarsi, giocare
d’azzardo e a litigare su chi, secondo le leggi della cavalleria, dovesse avere
il privilegio di guidare l’assalto, senza riuscire a mettere il comando
coordinato della battaglia nelle mani di uno solo di loro.
Il piano
originale prevedeva piazzare arcieri e balestrieri (il terreno era troppo umido
per l’utilizzo dei cannoni) in prima linea, supportati dagli uomini d'arme e la
cavalleria tenuta di riserva per devastare le fila inglesi bersagliate dagli
arcieri francesi.
Come è noto
questo piano non venne seguito. Gli arcieri anglo-gallesi ebbero il tempo di
fortificarsi con pali acuminati infissi nel terreno a distanza tale da
mantenere le file francesi entro la gittata delle loro armi, e i cavalieri
francesi forzarono le loro stesse truppe per porsi in prima linea. Quando gli
arcieri di Enrico iniziarono a scoccare la cavalleria francese in prima fila
era ancora distratta, disorganizzata e impreparata. Una carica frettolosa senza
una reale leadership a causa dei continui litigi per la precedenza degli alti
nobili che la guidarono, su terreno fangoso e che fu incapace di aggirare gli
arcieri a causa dei boschi, o di assalire direttamente gli arcieri a causa dei
pali di fortificazione, e si andò a spezzare contro le linee degli uomini
d’arme inglesi, finendo in un disastro e in un gran numero di nobili francesi
presi prigionieri, tra cui Boucicault stesso.
Battaglia di Agincourt |
Questo
atteggiamento della cavalleria nobile francese non fu motivato solo da
arroganza e impreparazione, anche se questi due fattori furono certamente un
fattore importante.
Il ruolo del
cavaliere era estremamente preciso: i nobili francesi erano una classe che
godeva di enormi privilegi sociali e personali. Avevano diritto ad una legge
privata, ricevevano regali dal re e dai loro valvassori, ed erano riconosciuti
come i leader politici della nazione. Tutto questo potere era però sottomesso
ad un obbligo ben preciso: combattere le guerre del sovrano.
Un cavaliere che non si distinguesse sul campo di battaglia non aveva ragione di esistere. Tutte le risorse di cui si appropriava, tutti i privilegi di cui godeva erano subordinati al suo essere l’arma definitiva, capace da sola di rovesciare le sorti di una battaglia.
Un cavaliere che non si distinguesse sul campo di battaglia non aveva ragione di esistere. Tutte le risorse di cui si appropriava, tutti i privilegi di cui godeva erano subordinati al suo essere l’arma definitiva, capace da sola di rovesciare le sorti di una battaglia.
La gloria
della cavalleria francese era già in fase calante: una disastrosa crociata
contro l’Impero Ottomano, costata enormemente in termini di riscatto e la
perdita dei territori genovesi recentemente occupati avevano rivelato la loro
inadeguatezza, e fin dall’assedio di Harfleur Enrico V aveva esplicitamente
lanciato sfide personali ai cavalieri francesi, che si sentivano in dovere di
raccogliere.
Mostrarsi
codardi nei confronti di semplici arcieri, umili figli di contadini e piccoli
possidenti, sarebbe stato il colpo definitivo alla loro credibilità come
guerrieri, avrebbe abbattuto la loro funzione sociale.
Non potevano
permetterlo.
Allo stesso
tempo i cambiamenti sociali della fine del medioevo stavano premendo fortemente
sulla vecchia aristocrazia guerriera. L’esercito francese ad Agincourt non era
stato reclutato secondo i vecchi sistemi feudali, ma promettendo compensazioni
monetarie ai partecipanti la campagna bellica, secondo il modello inglese. I
ranghi non erano quindi composto da una
leva feudale, ma da veri e propri soldati semi-professionisti, il cui
reclutamento doveva aver indebitato non poco i responsabili nobili della
campagna. Diventava quindi necessario per i cavalieri recuperare denaro in
fretta, e il modo migliore per farlo era sempre stato, in guerra, attraverso la
cattura delle armi avversarie e di prigionieri di rango per cui chiedere il
riscatto.
Gli stessi
litigi per il predominio e il rifiuto di coordinarsi da parte dei comandanti
della prima carica dovrebbe essere letto in questo senso: ciascuno aveva
l’assoluta necessità di mostrarsi superiore agli altri, per avere una chance di
assumere il controllo degli eventi nella guerra intestina che si stava
preparando contro la Borgogna in parallelo a quella contro l’Inghilterra.
Ovviamente l’assoluta impreparazione e la leggerezza con cui affrontarono
quelli che ai loro occhi dovevano essere solo una banda di straccioni non fece
altro che sottolineare la loro totale inadeguatezza.
La rovinosa
carica di Agincourt, che condannò la battaglia fin dalla sua fase iniziale, non
è quindi soltanto un capolavoro di incompetenza militare, ma anche e
soprattutto il segnale della fine di un epoca, il mondo antico che si scontra
contro le esigenze dell’incipiente modernità, vedendo i vecchi ragionamenti e modelli
di comportamento rivelare la loro inadeguatezza.
Cavalieri Francesi |
Dopo la
carica di cavalleria un secondo assalto, guidato dal Constabile di Francia
stesso, vide gli uomini d’arme francesi avanzare nel fango, soffocati dalle
loro armature e affondati fino al ginocchio nella melma, bersagliati a
bruciapelo dalle frecce inglesi. Queste non erano in grado di penetrare i
pettorali delle migliori armature, ma erano pericolose per braccia, gambe e
volti esposti, e l’esperienza di attraversamento del campo di Agincourt,
soffocati dall’elmo che doveva essere chiuso, sbilanciati dal fianco e
martoriati dal continuo lancio di frecce doveva essere terrificante anche per
dei professionisti della guerra.
Quando si
arrivò alla mischia gli arcieri abbandonarono gli archi e iniziarono a
combattere con pugnali, daghe e i martelli che avevano usato per piantare i
pali nel terreno. Dopo un iniziale successo, l’attacco francese perse di forza
e, attaccati da tre lati da avversari più leggeri e mobili, feriti, esausti e
incapaci di rialzarsi quando caduti, gli uomini d’arme francesi soccombettero,
vennero presi prigionieri a decine e lo stesso Conestabile Carlo d’Albret venne
ucciso in battaglia.
In un
momento imprecisato della battaglia, un giovane cavaliere del villaggio di
Agincourt chiamato Ysembart, guidò la
sortita di qualche uomo d’armi e un gran numero di paesani attraverso i boschi
verso il campo inglese, non si sa quanto concordata coi generali o quanto
piuttosto una razzia privata, e riuscì ad arrivare fino alla tenda reale,
rubando il ricco guardaroba e scappando con un notevole bottino. Colto di
sorpresa, e probabilmente senza sapere esattamente che genere d’attacco le sue
salmerie stessero fronteggiando, Enrico V dette ordine di uccidere i prigionieri
francesi, violando ogni legge bellica o di cavalleria.
L’atto fu
aspramente criticato, e preso come simbolo dell’assoluta mancanza di coscienza
da parte di Enrico V, ma fu probabilmente un atto di calcolato pragmatismo, più
che di crudeltà. Data la disparità nei numeri, ad Agincourt si verificò il caso
unico in cui i prigionieri da soli quasi superavano in numero i combattenti
inglesi. Enrico interpretò probabilmente la razzia come un tentativo di
sollevare i prigionieri, e, temendo una ribellione a cui non avrebbe potuto
fare fronte, ordinò il massacro, col semplice scopo di proteggere la sua
retroguardia nella battaglia ancora in corso.
Quando la
battaglia si concluse i francesi avevano perso tra morti, feriti e prigionieri,
più di 4.000 uomini. Anche in questo caso le cifre sono aperte a dibattito, ma
la stima maggiormente accreditata parla comunque di un rapporto di nove a uno
tra le perdite francesi e quelle inglesi, con centinaia di cavalieri e decine
di nobili maggiori francesi morti o catturati dal nemico.
Le conseguenze
La disfatta
francese ad Agincourt permise ad Enrico di stabilire il proprio dominio sulla
Normandia e di riparare a Calais e da lì riparare in Inghilterra per
ricostruire il proprio esercito stremato.
Forte del
successo di fronte al parlamento e sfruttando le risorse ottenute dai riscatti,
Enrico V poté quindi tornare in Francia l’anno successivo e impegnarsi in una
campagna pluriennale che finì per garantirgli il controllo di tutta la
parte nord del Paese e una forte posizione da cui proclamare i propri diritti
alla corona di Francia.
Il 21 Maggio
1420, a Troyes, Carlo VI ed Enrico V firmarono un trattato che, pur non
mettendo ufficialmente fine alla guerra, segnava una definitiva vittoria per il
re inglese. Secondo i termini del trattato Enrico sposò Caterina di Valois,
figlia di Carlo VI, e venne dichiarato reggente di Francia; un titolo
tutt’altro che formale, dati gli accessi di follia che periodicamente
incapacitavano Carlo VI. Oltre alla reggenza, Enrico V guadagnò anche per sé e
per i propri figli, legittimati dal matrimonio con Caterina, il titolo di erede
al trono di Francia, delegittimando il figlio diciassettenne di Carlo VI, il
delfino Carlo di Valois, futuro Carlo VII.
Caterina di Valois |
Il trattato
di Troyes portò ad una pace incerta, che venne prontamente infranta quando, due
anni dopo, morirono prima Enrico V, lasciando un figlio di pochi mesi, e poche
settimane dopo, Carlo VI. Secondo gli accordi il figlio neonato di Enrico V
sarebbe dovuto diventare re, ma il Delfino di Francia violò i termini del trattato,
reclamò il trono e qualche anno dopo partì per una campagna di riconquista con
un generale d’eccezione: Giovanna d’Arco.
Le
conseguenze più rilevanti della battaglia di Agincourt furono però
l’amplificare i cambiamenti occorsi nella società tardo-medievale, più che nel
forzare la monarchia francese ad una fragile resa.
In primo
luogo la perdita di tanti nobili sul campo di battaglia, morti o prigionieri
(molti riscatti, tra cui quello di Boucicault, non furono mai pagati.
Evidentemente qualcuno ne aveva abbastanza della loro inettitudine), indebolì
terribilmente le posizioni della nobiltà francese, e andò ad influenzare la
guerra civile che stava maturando tra il partito degli armagnacchi (favorevoli
al tradizionale rapporto sociale feudale) e quello dei borgognoni (influenzati
dalla classe mercantile inglese). Le ostilità erano iniziate già nel 1407, con
l’esclusione dei Duchi di Borgogna dal concilio reale e il seguente assassinio
del Duca d’Orleans, massimo esponente degli armagnacchi, ed avevano raggiunto
un nuovo apice nel 1418, con l’omicidio del Duca di Borgogna da parte della
fazione rivale, il che aveva portato la Borgnogna a cercare un’alleanza
separata con la corona inglese, sostenendo come legittime le pretese di Enrico
al trono di Francia e dichiarando Carlo VI un usurpatore.
Assassinio del Duca d'Orleans |
La maggior parte dei caduti di Agincourt apparteneva quindi alla fazione
armagnacca, che venne a tutti gli effetti decapitata.
I borgognoni
ne approfittarono e, solo dieci giorni dopo Agincourt, entrarono in forze a
Parigi, occupandola militarmente con inusitata ferocia, e facendo precipitare la
Francia in una guerra civile di grande intensità e che si concluderà solo con
il riconoscimento dell’indipendenza della Borgogna da parte di Carlo VII, al
termine della guerra con l’Inghilterra.
Si può
facilmente vedere come l’Inghilterra, pur perdendo la guerra e dovendo
rinunciare sia alle proprie pretese sulla corona di Francia, sia ai suoi
possedimenti sul continente (con l’eccezione di Calais), sia però riuscita,
attraverso la mediazione culturale dei borgognoni, a far capitolare l’antica
struttura di potere francese, e a “colonizzare” il Paese con la propria
mentalità mercantile e il proprio modello economico, di cui la Borgogna si fece
sponsor e che riuscì a far valere presso Carlo VII quando questi cercò la pace
con i suoi nobili ribelli.
Un’altra
rivoluzione causata dalla campagna di Enrico V fu quello di consegnare il Paese
nelle mani di bande di mercenari.
Per
sostenere le proprie compagnie, i nobili uomini d’arme francesi avevano imitato
il modello inglese e, invece di ricorrere ad una leva feudale, forzata, avevano
offerto compensi monetari a veterani delle guerre intestine ed esterne.
Con il
cessare delle ostilità dirette, queste compagnie di semi-professionisti della
guerra si trovarono disoccupate e, come hanno sempre fatto i mercenari nel
corso della Storia, si diedero al brigantaggio, scorrendo la campagna francese
e procurando ingenti danni al territorio.
Una delle
prime mosse di governo di Carlo VII, dopo aver violato i termini del trattato
fu incanalare questa risorsa bellica, lanciando un bando per le compagnie
d'ordonnance. Carlo VII, alla ricerca
disperata di uomini e comandanti ancora quindici anni dopo Agincourt, offriva il
perdono reale e un soldo regolare, un vero e proprio stipendio, a quegli
sbandati che si fossero presentati a combattere per lui, così come a quei
cavalieri, magari non appartenenti all’alta nobiltà (che si era comunque
dimostrata quantomai inadatta al comando e troppo legata a strategie
appartenenti al secolo precedente) ma comunque addestrati alla tattica e alla
strategia, che volessero comandare le nuove compagnie.
Questo
decreto portò alla creazione del primo esercito permanente in Europa dopo la
caduta dell’impero romano, un esercito di professionisti posti direttamente al
servizio al sovrano non tanto dai vincoli della lealtà feudale, che si erano
dimostrati troppo deboli nella giostra di tradimenti, alleanze, e opposte
lealtà che era la Guerra dei Cent’Anni, quanto da legami economici e quasi
nazionalistici di sapore molto più moderno.
Assedio di Orleans |
Si
può dire che la più grande conseguenza della Battaglia di Agincourt, in quanto
apertura dell’ultima fase della Guerra dei Cent’Anni, non fu quella di
garantire il predominio all’Inghilterra (una vittoria di Pirro di breve
durata), quanto piuttosto quello di catalizzare i cambiamenti sociali post-medievali
in atto in Inghilterra, e di forzare la Francia a fare lo stesso, proiettando
quelle due nazioni fuori dal medioevo e pronte a partecipare a quella zeitgeist europea che, partita nel XIII
secolo, sarebbe esplosa nel XIV e che in Italia viene chiamata “Rinascimento”.
Quella
vittoria e la successiva campagna innescarono eventi come la creazione del
primo nucleo di quello che diventerà l’esercito francese o la guerra civile tra
armagnacchi e borgognoni e la necessità di trovare una coesione sociale al suo
termine, che produssero una serie di processi che si concluderanno, in
definitiva, solo nel XVIII secolo, quando proprio Francia e Inghilterra
emergeranno, non a caso, tra i primi stati-nazione europei, e dominatori per
questo del XIX secolo.
Tutto
questo perché, nel giorno di Crispino e Crispiano, una banda di inglesi,
combattendo fianco a fianco, nobili e plebei assieme, abbatté per sempre
l’arroganza della nobiltà francese, trascinando con uno shock quel Paese al di
fuori dei fanghi medievali da cui stentava a sollevarsi.
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